RECENSIONE "I DETECTIVE SELVAGGI" - ROBERTO BOLANO
Roberto Bolaño, autore fino ad allora quasi
sconosciuto, pubblica nel 1996 I
detective selvaggi, un libro di stampo autobiografico che colpisce una
generazione di lettori divenendo un’opera di culto, e rendendo lo stesso Bolaño
un autore di culto.
Come può un libro solo fare tutto questo? Se non avete
ancora letto I detective selvaggi vi
dico io perché: è poesia. La prosa di Bolaño è una prosa liquida, è come l’acqua,
scorre via leggera ma al tempo stesso è impetuosa come solo la poesia sa
esserlo. In ogni singola pagina del romanzo ci troviamo davanti alla Vita, con
la “v” maiuscola. Possiamo percepire il battito cardiaco dei personaggi che
parlano, impariamo a conoscere la loro interiorità, sentiamo le loro emozioni.
La potenza della Vita è tutta sotto i nostri occhi di lettori.
Nell’autunno del 1975, nel Distretto Federale (DF) di Città
del Messico, lo studente universitario Juan Garcìa Madero entra a far parte di
un nuovo movimento letterario, il realvisceralismo, o realismo viscerale,
neanche loro sanno di preciso come chiamarlo. I fondatori di questo movimento
sono Ulises Lima e Arturo Belano (Bolaño stesso), poeti anticonformisti che
rifiutano la supremazia di Octavio Paz (futuro premio Nobel), di tutti i suoi
tirapiedi, e il politicismo dei poeti contadini. Il romanzo si apre con il
diario di Juan Garcìa Madero, che racconta delle sue vicissitudini, alla
ricerca del proprio posto nel DF, luogo dalle fattezze quasi mitiche, e nella
poesia.
Non fatevi ingannare: la prima parte non è altro che l’introduzione
alla storia vera e propria, narrata da un coro di circa 60 voci che si
alternano raccontando eventi diversi, secondo punti di vista diversi, in anni
diversi, in parti del mondo diverse. Bolaño comincia la narrazione nel DF del
1976 e la conclude nel DF del 1996, con nel mezzo 20 anni di cronologia, e una
cartina geografica che partendo da Città del Messico arriva a Parigi, a Londra,
a Barcellona, a Madrid, a Roma, passando poi per Israele, l’Africa, la
California. Una vera e propria Odissea.
Che si conclude nella terza parte, in cui riprendiamo in
mano il diario del poeta Garcìa Madero, alle prese con un viaggio - l’ennesimo
- nel deserto del Sonora.
Tutto il libro è un’Odissea, i personaggi fin da subito
camminano tantissimo per le strade delle città, in Paesi e Continenti diversi,
viaggiano in macchina, autobus, aereo. Ma alla ricerca di che cosa?
Semplice: Ulises Lima e Arturo Belano raccolgono notizie
della poeta (non poetessa, mi raccomando) Cesarea Tinajero, parte integrante
dello stridentismo e fondatrice di un primo movimento realvisceralista degli anni '20. Della Tinajero
non è rimasta neanche un’opera, ma è davvero così?
E soprattutto, i “detective selvaggi” sono solamente Lima e
Belano o anche tutti gli altri, tutti noi? In fondo, non viviamo tutti in un
viaggio continuo, alla ricerca di qualcosa o qualcuno che non si sa se esista o
se ci voglia? È il viaggio della vita. E Roberto Bolaño ce lo descrive
interamente, con tutti i suoi momenti di tristezza e di felicità, di noia e di
lavoro, di sesso e di solitudine, di odio e di amore. Semplicemente la vita, in
un libro, I detective selvaggi.
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