lunedì 17 settembre 2018

RECENSIONE "CHESIL BEACH" - IAN MCEWAN


Nell’Inghilterra del 1963 una coppia di giovani e inesperti sposi deve affrontare la prima notte di nozze. Ai giorni nostri, non sembra un fatto tanto grave, una sfida da temere. Tuttavia, come disse lo storico Philip Larkin, i primi giovani a fare sesso furono nel 1963, dopo il bando a “L’amante di Lady Chatterly” di Lawrence e la venuta dei Beatles. Questo succede poco dopo il matrimonio tra Edward e Florence, che sono di conseguenza incatenati al mondo di prima.
Il sesso dovrebbe essere, alla luce della società di oggi, un evento piacevole, da rispettare ma da non temere. Siamo animali, la sessualità è insita nel nostro DNA. In Inghilterra però, fino a prima del 1963, non la pensavano così.
Questo porta a due conseguenze: Edward ha alte aspettative per quella prima notte di nozze, ma ha paura che con una singola mossa sbagliata possa far richiudere la moglie nel suo guscio e rovinare tutto; Florence d’altra parte non vuole deludere il marito, e cerca di soffocare la propria repulsione per quello che deve accadere.
Gli antefatti sono il prototipo perfetto della storia d’amore: vengono entrambi da Oxford, anche se da zone diverse, e può darsi che da bambini si siano incrociati a qualche evento cittadino, ma non ne hanno memoria. Entrambi vanno poi a studiare a Londra, al Conservatorio lei (violino) e all’Università lui (Storia), tuttavia abitano in due zone diametralmente opposte della città e quindi non si incontrano. Ciò accade alla fine dei rispettivi studi quando, tornati a Oxford, attendono via posta i risultati degli esami finali, aspettandosi entrambi il massimo dei voti.
Durante uno di questi pomeriggi di noia, decidono di andare fuori di casa e recarsi in città, ed entrano casualmente nello stesso edificio, attratti dall’insegna che proponeva un dibattito riguardo il disarmo nucleare. Lui entra poco dopo di lei, e appena la vede ne resta folgorato: le si avvicina e, nonostante le stia parlando un altro ragazzo, Florence decide di parlare con Edward. Da lì non smetteranno più.
Il loro amore si dimostra da subito solidissimo. I primi tempi li passano parlando dei propri sentimenti e della fortuna che hanno avuto a trovarsi: poteva benissimo non succedere, più volte se lo dicono. Passano i pomeriggi all’ombra degli alberi, sui prati, lei appoggiata al braccio di lui, a giocare con le foglie d’erba e a scambiarsi qualche innocuo bacetto. Dopo un po’, stanchi di parlare di sentimenti, passano a parlare dei fatti, di come concretamente si sono conosciuti.
“Perché non avevi la giacca” è una frase di Florence, probabilmente la risposta alla domanda “Perché ti sei accorta di me” o “Perché ti sei interessata proprio a me” posta da Edward, non lo sappiamo. “Perché ti sei fermato sulla porta e ti sei guardato intorno con l’aria del padrone assoluto del mondo. Fiero. Anzi, che dico, decisamente arrogante” è la frase che conclude la risposta. Questo avveniva su una barchetta in mezzo al fiume Cherwell, mentre altre barche colme di studenti chiassosi passavano.
Successivamente i due parlano, com’è ovvio a vent’anni, di futuro. Lui, promettente e appassionato storico, sogna di scrivere una collana di libri con protagonisti gli uomini “secondari” o dimenticati della storia inglese, uomini che hanno fatto la concreta differenza ma che non vengono riportati nei testi scolastici. È indeciso se dedicarsi interamente a questo o se cercare un lavoro e dedicarcisi nel tempo libero. Florence dal canto suo è un’eccellente violinista, e ha due scelte: una prevede l’impiego in un’orchestra cittadina, il secondo continuare a suonare con il quartetto d’archi creato al conservatorio, l’Ennismore Quartet, affinando il repertorio e attendendo in un ingaggio. Questa seconda possibilità, nonostante sia un po’ più azzardata della prima dato che la concorrenza e l’aspettativa del pubblico in quel genere di musica è altissima, attira di più Florence, ed è decisamente propensa a proseguire per questa strada.
Parlano dunque delle rispettive passioni, di musica classica e di jazz, di esercitazioni con il violino e di personaggi storici, a volte, con i genitori di lei, di politica. Florence conosce tardi la famiglia di Edward, le due gemelle, il padre preside di una scuola elementare, la madre “cerebrolesa”.
Durante tutto questo anno di amore e gioia profonde, vere, c’era un alone di oscurità: il sesso. Florence non apprezzava i baci con la lingua, ed Edward dovette impararlo. Edward cercava di allungare le mani e di lasciarsi toccare, ma un movimento troppo brusco o un gesto troppo affrettato avrebbero chiuso Florence in sé stessa cancellando settimane di progressi: un capezzolo visto una volta poteva non essere visto per giorni e giorni.
E così, in questo clima di amore da una parte e timore sessuale dall’altra, arriva la fatidica notte di nozze, dove i due vengono messi davanti a una verità insostenibile per loro: non si conoscono affatto. Si amano, sono felici quando stanno insieme, hanno dei progetti più o meno solidi per il futuro, un lavoro, una casa insieme, dei figli. Ma non sanno niente l’uno dell’altra.
O credono che sia così: fanno mille pensieri e mille riflessioni, avrebbero modo di dirsi mille cose carine e di rassicurarsi a vicenda se solo parlassero, ma non possono parlare, non dell’argomento che sta loro più a cuore in quel momento – il sesso – e che rischierebbe di rovinare tutto. E tutto questo solo perché sono nel 1963, prima della liberazione sessuale. Basterebbe davvero poco.
Chesil Beach è un libro incredibile, e la critica non lo apprezza come dovrebbe. Gli eventi non sono narrati in maniera lineare, ma è un tutto un flash back, con anche i flash back dei flash back. I pensieri dell’uno lasciano posto ai pensieri dell’altra, e così le sensazioni, i ricordi, in un turbine di magia, bellezza e verità che solo uno scrittore prodigioso come Ian McEwan è in grado di costruire e di sostenere senza annoiare mai.

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