martedì 11 dicembre 2018

RECENSIONE "I DETECTIVE SELVAGGI" - ROBERTO BOLANO


Roberto Bolaño, autore fino ad allora quasi sconosciuto, pubblica nel 1996 I detective selvaggi, un libro di stampo autobiografico che colpisce una generazione di lettori divenendo un’opera di culto, e rendendo lo stesso Bolaño un autore di culto.
Come può un libro solo fare tutto questo? Se non avete ancora letto I detective selvaggi vi dico io perché: è poesia. La prosa di Bolaño è una prosa liquida, è come l’acqua, scorre via leggera ma al tempo stesso è impetuosa come solo la poesia sa esserlo. In ogni singola pagina del romanzo ci troviamo davanti alla Vita, con la “v” maiuscola. Possiamo percepire il battito cardiaco dei personaggi che parlano, impariamo a conoscere la loro interiorità, sentiamo le loro emozioni. La potenza della Vita è tutta sotto i nostri occhi di lettori.
Nell’autunno del 1975, nel Distretto Federale (DF) di Città del Messico, lo studente universitario Juan Garcìa Madero entra a far parte di un nuovo movimento letterario, il realvisceralismo, o realismo viscerale, neanche loro sanno di preciso come chiamarlo. I fondatori di questo movimento sono Ulises Lima e Arturo Belano (Bolaño stesso), poeti anticonformisti che rifiutano la supremazia di Octavio Paz (futuro premio Nobel), di tutti i suoi tirapiedi, e il politicismo dei poeti contadini. Il romanzo si apre con il diario di Juan Garcìa Madero, che racconta delle sue vicissitudini, alla ricerca del proprio posto nel DF, luogo dalle fattezze quasi mitiche, e nella poesia.
Non fatevi ingannare: la prima parte non è altro che l’introduzione alla storia vera e propria, narrata da un coro di circa 60 voci che si alternano raccontando eventi diversi, secondo punti di vista diversi, in anni diversi, in parti del mondo diverse. Bolaño comincia la narrazione nel DF del 1976 e la conclude nel DF del 1996, con nel mezzo 20 anni di cronologia, e una cartina geografica che partendo da Città del Messico arriva a Parigi, a Londra, a Barcellona, a Madrid, a Roma, passando poi per Israele, l’Africa, la California. Una vera e propria Odissea.
Che si conclude nella terza parte, in cui riprendiamo in mano il diario del poeta Garcìa Madero, alle prese con un viaggio - l’ennesimo - nel deserto del Sonora.
Tutto il libro è un’Odissea, i personaggi fin da subito camminano tantissimo per le strade delle città, in Paesi e Continenti diversi, viaggiano in macchina, autobus, aereo. Ma alla ricerca di che cosa?
Semplice: Ulises Lima e Arturo Belano raccolgono notizie della poeta (non poetessa, mi raccomando) Cesarea Tinajero, parte integrante dello stridentismo e fondatrice di un primo movimento realvisceralista degli anni '20. Della Tinajero non è rimasta neanche un’opera, ma è davvero così?
E soprattutto, i “detective selvaggi” sono solamente Lima e Belano o anche tutti gli altri, tutti noi? In fondo, non viviamo tutti in un viaggio continuo, alla ricerca di qualcosa o qualcuno che non si sa se esista o se ci voglia? È il viaggio della vita. E Roberto Bolaño ce lo descrive interamente, con tutti i suoi momenti di tristezza e di felicità, di noia e di lavoro, di sesso e di solitudine, di odio e di amore. Semplicemente la vita, in un libro, I detective selvaggi.

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  David Foster Wallace ha 24 anni quando nel 1987 pubblica La Scopa del Sistema ( The Broom of the System ). Non so bene cosa si aspettasse...