giovedì 22 agosto 2019

Quando alcool e fratelli non vanno d'accordo, ovvero IL FONDO DELLA BOTTIGLIA – GEORGES SIMENON


Il fondo della bottiglia viene scritto nel 1948 durante il “soggiorno americano” di Simenon. Accusato più volte (e sempre assolto) di collaborazionismo al termine della Seconda Guerra Mondiale, stanco di una Francia che non lo vuole più se ne va negli Stati Uniti, in questo caso a Tumacacori, Arizona, per scrivere in pace.
Per romanzi come questo personalmente ho una teoria, ma forse prima è meglio mostrare il libro.
È ambientato nei ranch tra Tumacacori e Nogales, al confine tra  Arizona e Messico, dove un uomo in un bar deve decidere se può bere l’ultimo bicchiere di Bourbon oppure no. Decide di sì, dopo essersi guardato allo specchio del bagno. Uscito dal bar, che si trova sul lato messicano della frontiera, sale in macchina deciso a ritornare a casa, non prima però di essersi fermato in una casa di prostitute.
Uscito da lì, sentendosi sporco, riparte con la macchina, attraversa la frontiera e inizia a piovere: per andare a casa deve guadare un fiume, il Santa Cruz, che con le piogge torrenziali di metà estate può diventare inattraversabile per giorni e giorni. P.M., l’uomo in questione, riesce a guadarlo ma se avesse aspettato mezz’ora sarebbe rimasto bloccato a Nogales per chissà quanto tempo.
Si dirige verso casa, nella campagna dell’Arizona, in un agglomerato di ranch dove tutti si conoscono e passano il tempo insieme a ubriacarsi e a giocare a carte: Nora, la moglie di P.M., è sicuramente a casa di uno di questi amici, anche lei ubriaca. P.M. è sollevato di entrare nella casa vuota, così non dovrà sentirsi in colpa per aver bevuto e per essere andato con altre donne.
Sul vialetto di casa, tutto intorno buio, sente una voce che lo chiama: “Pat!”. P.M. ha un brivido: nessuno, nella sua nuova vita, lo chiama Pat. Chi lo chiama è infatti un uomo proveniente dal passato, il fratello Donald. Non sappiamo perché, ma la sua presenza spaventa molto P.M., tanto da nascondere alla moglie e agli amici che è suo fratello, gli cambierà nome (Eric), e prega tutti di non farlo bere perché ha avuto un recente crollo psichico.
È proprio questa bugia a far attirare tutta l’attenzione del circolo di amici su Eric/Donald. Il mattino dopo infatti tutta la combriccola si ritroverà a casa di Lil Noland, ricca, molto intelligente e di corporatura minuta, e colmeranno di attenzioni e riguardi lo straniero. Donald e il fratello, dopo un breve colloquio e un paio di telefonate sospette, incominciano a bere, tanto. Verso sera sono completamente ubriachi, e questo da vita a un episodio cruciale del libro. Non mi sembra il caso di svelare altro.
Ancora una volta, in pieno stile Simenon, tutto è imperniato sui personaggi: in poche pagine (neanche 180) riesce a creare una galassia a parte, tutta un’epica e un’archeologia da scoprire e studiare. In due righe l’autore racconta la vita di una donna, e nelle successive due ne definisce il carattere. Ma non è solo questo che sconvolge: la profondità di questi personaggi, il loro essere tridimensionali (alcuni), i pregi e i difetti, le relazioni interpersonali, il modo di parlare, l’atteggiamento. I personaggi di Simenon sono sempre, a mio modesto parere, l’elemento più interessante dei suoi  romanzi.
Il libro è ambientato negli Stati Uniti in un anno indefinito, probabilmente post-Seconda Guerra Mondiale, in un luogo di confine: il tema della frontiera è di conseguenza centrale. Donald infatti viene da P.M., su consiglio della sorella Emily, per oltrepassare la frontiera e andare in Messico, dove già lo attendono la moglie e i tre figli. La frontiera è il confine tra un luogo e un altro, tra un luogo di legalità e uno di libertà, tra lecito e illecito. Tuttavia ci sono varie frontiere: c’è la linea controllata dai poliziotti tra Stati Uniti e Messico, ma c’è anche il Santa Cruz, quel fiume invalicabile per le piogge, ci sono i confini di proprietà dei vari ranch, ci sono le pareti delle stanze delle case, in cui le persone mormorano, spettegolano, raccontano e organizzano piani e sotterfugi. Cosa succede se si oltrepassa una frontiera? Fisica o morale che sia? Si cambia. O perlomeno cambia qualcosa intorno a noi. Per attraversare un confine bisogna perdere una sorta di equilibrio, perdere la tranquillità dentro cui vivevamo. C’è chi lo vuole fare per necessità, come Donald, e chi per senso di colpa (o paura?) come P.M., ma tutti, prima o poi, si trovano a doverne oltrepassare uno.
Il titolo del libro parla chiaro: il fondo della bottiglia. Alcool. Tanto alcool. Sempre. Ovunque. A ogni ora del giorno e  della notte. Nei bar, in cucina, in salotto, in giardino, in macchina, a cavallo. Tutta questa storia comincia con P.M. che deve decidere se è ubriaco o no. Uno dei momenti di maggior tensione, in cui la storia prende una svolta imprevista, avviene quando P.M. e Donald sono entrambi clamorosamente ubriachi, e sempre l’alcool non fa che accrescere l’odio tra i due fratelli.
Ma perché si odiano? P.M. si interroga su questo fatto, e arriva a ricordare i grandi fratelli della Bibbia: Caino e Abele, Esaù e Giacobbe. Si giustifica dicendo che l’odio tra i due è molto più grande di loro, ed esiste loro malgrado. È un odio più che naturale, è biblico, e non riguarda solo i fratelli, riguarda anche i deboli contro i forti, i buoni contro i cattivi. Donald era un debole, P.M. un forte. Nel momento di massimo climax della narrazione P.M. ci confida che non ha mai capito per davvero la storia di Esaù e Giacobbe: se Giacobbe era il più debole, perché il padre ha lasciato tutto a lui? Perché non al più forte, che avrebbe saputo come sfruttarlo?
Il fondo della bottiglia fa parte di quei romanzi che Simenon stesso chiamava “duri”: non dei veri e propri gialli, ma storie in cui si percepisce che c’è una sorta di mistero, in cui l’intreccio prevede eventi aspri e violenti, e non sempre la conclusione è felice (quasi mai). Il romanzo da questo punto di vista non è innovativo, anzi è qualcosa di visto e rivisto in Simenon, se non fosse appunto per i personaggi sarebbe quasi un romanzo insipido.
Tuttavia la mia teoria su Georges Simenon è questa: voler competere con lui sul singolo romanzo a volte è facile, ad esempio Il fondo della bottiglia non è un gran libro, l’autore ha scritto di molto meglio. Tuttavia competere con lui sulla lunga distanza è quasi impensabile: chi potrebbe mai pensare di scrivere tanti libri quanti ne ha scritti lui? Alcuni sono migliori di altri, è vero, ma non sono mai mediocri o illeggibili, hanno tutti una propria qualità, e non stancano mai. In questo Simenon è imbattibile. E nonostante Il fondo della bottiglia non sia eccezionale, merita lo stesso di essere letto.

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